25 novembre: contro le donne una
violenza continua e dalle mille facce
La violenza contro le donne è forse la violazione dei diritti umani
più vergognosa. Essa non conosce confini, né geografia, cultura o ricchezza.
Fintanto che continuerà, non potremo pretendere di aver compiuto
dei reali progressi verso l’uguaglianza, lo sviluppo e la pace
(Kofi Annan, Segretario Generale delle Nazioni Unite – 1993)
Anche quest’anno, il 25 novembre è una ricorrenza che riporta un lungo elenco di molestie, discriminazioni e diritti negati, perché la violenza sulle Donne rappresenta un fenomeno diffuso che permea profondamente le società, senza confini geografici né distinzione di classe sociale o di età.
Importanti innovazioni giuridiche, quali la Convenzione di Istanbul del 2011 e la Direttiva UE 29/2012, hanno segnato un avanzamento nella definizione di un impianto normativo che inquadra opportunamente la violenza di genere come violazione dei diritti umani e manifestazione delle relazioni di potere storicamente diseguali tra uomini e donne.
I dati relativi al fenomeno ci rimandano, al contrario, un quadro di realtà in cui gli abusi e i soprusi non hanno segnato alcun arretramento, mentre l’Italia registra una situazione sempre più allarmante in termini di femminicidi.
Le cause dell’inefficacia degli strumenti giuridici sono da ricercare nelle scarse misure di prevenzione e di contrasto adottate, ma ancor più in un contesto culturale privo di anticorpi per arginare la violenza contro le donne, incapace di promuovere le pari opportunità e di combattere gli stereotipi di genere.
Come lavoratrici e lavoratori della conoscenza sentiamo la responsabilità di investire sulla prevenzione attraverso un impegno straordinario nell’educazione di genere, per avviare un cambiamento nelle nuove generazioni e tentare di aggredire le radici culturali della violenza contro le donne
Scuole, Università, Enti di Ricerca, Accademie e Conservatori, luoghi privilegiati della socializzazione, del pluralismo culturale, della formazione, hanno il compito di promuovere la conoscenza e il rispetto delle differenze, combattere pregiudizi, offrire modelli positivi, a partire da un uso corretto e responsabile delle parole.
Il linguaggio, infatti, nel veicolare significati e messaggi che si radicano nel modo di pensare e di percepire i fenomeni, può essere esso stesso, a seconda dell'uso che se ne fa, una forma di violenza e discriminazione.
Educare contro la violenza di genere significa anche decontaminare il codice linguistico dalla pratica diffusa dei commenti osceni, dei doppi-sensi volgari, degli intercalari che umiliano e offendono la donna in quanto tale, rappresentandola come oggetto del desiderio e del potere dell’uomo; significa denunciare e rifiutare espressioni che legittimano mancanza di rispetto, denigrazione della sessualità e della libertà femminile, creando spazi di aggressione simbolica in cui nascono e crescono vere e proprie forme di violenza fisica e psicologica.
Vuol dire, soprattutto, insegnare che la relazione tra le persone è per scambiarsi idee e opinioni crescendo nella diversità ma nel merito delle cose, senza trasformare l’avversario, ma più sovente l’avversaria, in un bersaglio deviato di ingiurie a sfondo sessista secondo quella pratica nata coi social che si rivela una scorciatoia per i poveri di argomenti e i vigliacchi di azione.
Il 2019 si è caratterizzato per una forte spinta di personalità femminili, esempi di intelligenza e di coraggio, pronte a sfidare convenzioni e stereotipi: sono loro a far nascere una nuova sensibilità sociale e politica, a diffondere modelli e immaginari inclusivi, ad affermare la partecipazione delle donne ai processi decisionali del Paese, per lottare contro ogni forma di sfruttamento, emarginazione, ingiustizia, violenza, nel solco della storia.
Non è tutto, ma un importante passo verso l’uguaglianza, lo sviluppo, la pace; un percorso che vede impegnate e protagoniste tutte le professionalità del mondo della conoscenza.
Cordialmente
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